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Storia del Comune

Ultima modifica 16 febbraio 2024

Argomenti :
Patrimonio culturale

Toponomastica

foto toponomasticaL’origine del nome “Lomagna” si perde nel tempo tanto che discendono tutte del latino. Prima ipotesi: secondo il “Dizionario di toponomastica italiana “ il nome Lomagna deriverebbe dall’espressione “Loco Humanius” con la caduta della sillaba “co” e l’unione delle due parole. Seconda ipotesi : secondo Virginio Riva, data e attestata nel IIsec a.C. la presenza romana nella zona, Lomagna deriva dall’adattamento di “Laus Romaniae” (forse a seguito di una battaglia vittoriosa per i Romani) o da “Laus Manliae” (in onore del comandante vittorioso Manlio) Terza Ipotesi : secondo il Boselli si può risalire alla dicitura “Loco Magno”, cioè grande podere, come territorio legato a Oreno. Nessuna di queste tre ipotesi ha ancora ottenuto la prova ultima e indiscutibile di verità, perciò si ritengono tutte possibili.

Storia antica - Epoca romana

Nel II sec a.C. le popolazioni della nostra zona sono considerate “socii”, cioè alleate, e partecipano alla guerra sociale, ottenenedo poi alcuni diritti pretesi (possesso, monetazione e commercio) con la Lex Pompeia. Questo trattamento non è attestato per Lomagna, che tuttavia conosce la dominazione romana, come attestano la presenza di strade di collegamento e dell’ara dedicata a Ercole.

Ara di ercole

L’Ara di Ercole è un altarino votivo in granito, forse parte di una struttura più grande come basamento di un tavolino in marmo. Sul tronco verticale è incisa un’iscrizione: “Herculi Aurelius Leonitus Cum Suis V.S.L.M. (voto solvit libens merito)” cioè “Aurelio Leonzio con i suoi sciolse il voto a Ercole di propria iniziativa”. Questa epigrafe compare anche nel Corpus inscritionum latinarum di Mommsen del 1877 che colloca l’ara in parrocchia. Ignoti rimangono il sito di collocamento originario, il suo ritrovamento e le cause dei successivi passaggi che hanno portato l’ara prima in parrocchia e poi nella Villa Busca.

Storia Medievale

La questione del cristianesimo. Il periodo del tardo impero e del primo Medioevo assiste alla graduale diffusione del cristianesimo nella nostra zona. Tuttavia, a causa della mancanza di documenti e fonti storiografiche, è difficile stabilire con precisione “quando e come penetrò e si diffuse nella Brianza il cristianesimo,quando e come vi si formarono le pievi o primitive parrocchie”, parole di Don Rinaldo Beretta, fine conoscitore della storia briantea. Un ampio e aperto dibattito si anima dunque intorno agli argomenti correlati alla questione della cristianizzazione del milanese e delle zone a settentrione: alcuni affermano che lo stessso S.Pietro avrebbe inviato il primo vescovo a Milano, altri posticipano la nascita del primo vescovado fra la fine del II sec d.C. e la metà del III sec. d.C. Don Rinaldo Beretta, sul problema dell’insediamento vescovile, ritiene accettabile affermarne una collocazione più tarda rispetto alla presenza attestata in Roma e nel centro Italia, perchè le popolazioni rurali delle nostre zone erano ancora pervase dalle trazioni cultuali pagane derivate dalla propria origine celtica. L’ipotesi della permanenza cultuale celtica è infatti avvalorata dai ritrovamenti archeologici di tombe e lapidi databili fino al III sec d.C. e perciò prova che il fenomeno della cristianizzazione ebbe davvero ingente impatto solo dal IV sec, segnato dalla presenza importante del vescovo Ambrogio.

Le Pievi. Come per tutta l’Europa, anche per l’Italia e la nostra zona, il fenomeno della cristiazzazione delle campagne si concreta attraverso le pievi o chiese battesimali, veri e propri avamposti dell’avanzata religiosa cristiana e luoghi di raccolta per i fedeli. Una prima diffusione delle pievi si ha alla fine del IV sec solo intorno a Milano per facilitare i collegamenti e le comunicazioni, rese difficili in periferia dal crollo del potere centrale e dalla conseguente diffusione dell’anarchia e dell’insicurezza. Dal V sec. le pievi nascono anche nelle zone rurali più lontane dai centri urbani per sostenere un sempre maggior numero di nuovi fedeli delle campagne. Queste chiesette periferiche avevano diversi compiti, amministrati per conto della diocesi a cui afferivano e che, proprio per l’espansione del territorio sotto la propria giurisdizione, necessità di propaggini sacerdotali capillari: predicare, battezzare, benedire, insegnare, celebrare funerali.

In epoca longobarda, grazie all’isolamento dalle maggiori arterie di collegamento, l’area briantea fu risparmiata dalle devastazioni degli invasori. Lomagna, a quei tempi nota come Lomania, stando ai documenti, si appoggiava alla Pieve di Missaglia, comparsa per la prima volta su una pergamena dell’835 su cui se ne cita il reggente come “archipresbyter”. Nel 920 la pieve fu infeudata al Capitolo della Cattedrale di Monza col “Diploma di Berengario”, pratica introdotta dall’arcivescovo Landolfo che, costituendo appunto questo capitanato, arricchì enormemente la sua famiglia. Ignazio Cantù ci informa inoltre che anche a Lomagna era stato istituito un capitanato, tuttavia bisogna giungere fino al 1224 per trovare una pergamena che cita una vendita di fondi “in loco et in territorio di Lomania” e di una casa collocata ad ovest di una certa Chiesa di S.Salvatore di cui però non si hanno più notizie, forse perchè successivo sito di un’altra Chiesa nel XVI sec.

Nel XIII sec., precisamente nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani del 1289, è documentata la presenza in Lomagna di due Chiese dedicate una a S. Silvestro e una a S. Alessandro. Non si hanno notizie riguardo alla loro origine e se ne conosce lo stato di estremo abbandono e degrado nel XVII sec. perchè non legate a beni patrimoniali. La Chiesa di S. Alessandro era probabilmente collocata fra il cimitero e la discesa verso Osnago, luogo che manteneva il nome di “campo di S. Alessandro”, come testimoniato dal Liber chronicus di don Francesco Carini del XIX sec. La Chiesa di S. Silvestro, sempre secondo don Carini, era edificata su un’altura a ovest della Cappella del Lavandaio. Si precisano inoltre interessanti dettagli topografici dell’area che avrebbe ospitato una torretta in funzione di roccolo, costruita, si dice, sopra “muraglie” antiche. Don Carini è invece certo che in quel sito furono sepolti i morti di peste, portando a prova il ritrovamento di parecchie ossa umane umane da parte di un contadino di nome Brambilla. Tuttavia non si hanno altre prove che possano avvalorare l’ipotesi.

Nel XIV sec compaiono le prime testimonianze della presenza “borghese” a Lomagna su un documento dell’ Ufficio di Provvisione in cui tali Martino de Genezano e Albertolo de Lomagna, console del paratrico dei sarti, chiede il riconoscimento degli Statuti presentati. Questa richiesta testimonia la presenza a Lomagna di un console, cioè di uno degli esponenti di vertice, di una corporazione di sarti (paratrico); ciò significa che la Lomagna trecentesca, nonostante fosse un piccolo borgo di 200 abitanti circa, poteva contare esponenti di diverse fasce sociali e quindi ospitare una comunità dinamica, dedita agli affari e all’artigianato, cosa che necessitava di un minimo grado di istruzione: la capacità almeno di far di conto.

Il Settecento

Le prime rappresentazioni cartografiche di Lomagna risalgono alla metà del Seicento. Un’ antica mappa risalente all’ inizio di questo secolo rappresentante la Pieve di Missaglia, mostra, l’ impianto urbano e viario del territorio lomagnese. Evidenziano l’assetto urbano e la presenza della chiesa parrocchiale ma è solo con il censimento di Maria Teresa d’Austria nel 1721 che la realtà urbana lomagnese viene censita sia attraverso i rilievi degli edifici,delle strade di pubblico transito, che delle diverse proprietà. L’impianto urbano è caratterizzato dalle strade di collegamento che si sviluppavano lungo il corso dei torrenti Molgoretta e Lavandaio, verso Usmate da un lato e verso Casatenovo dall’ altro. Un altro aspetto è l’anello di case coloniche, che si svilupparono lungo la via d’Adda Busca, asse centrale del vecchio nucleo. La strada principale era quella che collegava Lomagna con Missaglia, che in località “Tri co d’ai” si biforcava vero Lomaniga. Questo impianto è rimasto immutato fino all’inizio dell’ ‘800. Oltre alla chiesa parrocchiale si evidenzia la presenza del pozzo, che era ubicato all’incrocio tra le attuali via Mazzini e Gargantini, e l’osteria lungo il vicolo omonimo recentemente ristrutturato. L’osteria era posta in alto alla salita del Lavandaio, in posizione strategica per accogliere i viandanti. Lomagna era una piccola città di 400 persone dedita alla attività agricola. Oltre al nucleo storico si possono enumerare le diverse cascine sparse per il territorio che consentivano un migliore sfruttamento del suolo. Durante tutto il Settecento, la realtà urbana non muterà. Bisognerà attendere del secolo successivo per riscontrare modificazioni del paese con la costruzione della Villa Busca nel 1804, e della Pirovana. Nel 1815 Antonio Gargantini registrò i mutamenti più rilevanti. Antonio Gargantini era nipote di Antonio Gargantini che nel 1914 acquistò numerose proprietà e fondi dai fratelli Giulio e Luigi Campagnani. I Gargantini erano una famiglia di possedenti e disponevano di molte risorse. Negli anni 1828-1829 venne eretta la Cascina Magenta, che in origine era un edificio in stile neoclassico. Nel 1831 viene ristrutturata la Cascina Viale che ha origini molto più antiche.

La Villa Brusca

foto villa buscaNella primavera del 1804 il conte Carlo Anguissola decise di dare corso alla costruzione della propria dimora in Lomagna, una delle più belle ville neoclassiche della Brianza. Il conte aveva sposato Bianca Busca, da cui poi l’ edificio prese il nome, figlia primogenita di Carlo Galeazzo Busca Arconati Visconti, quarto marchese di Lomagna. Quella di Busca è la dinastia che dominò sul feudo di Lomagna per 209 anni, dalla prima investitura avvenuta l’ 8 novembre 1659 di Lodovico Busca,primo marchese di Lomagna, fino al 1870 con la morte di Antonio Marco Busca, che non lascio nessun erede. La villa inizia dal portone che dà sul cortile di via d’ Adda Busca. I nobili provenienti in maggioranza dal milanese entravano nel parco, raggiungevano il cortile dove si trovavano le rimesse delle carrozze e le stalle per i cavalli. Nell’ ampio atrio che introduce al piano terreno, dove si trovano gli spazi e le sale di rappresentanza. Sulla destra un monumentale scalone, conduce, al piano superiore. Proseguendo entriamo nel vestibolo, dove gli ospiti venivano ricevuti prima di essere introdotti nella galleria. I finestroni creano un rapporto tra lo spazio chiuso e il parco esterno. Il soffitto, è decorato con colori tenui. Bassorilievi che rappresentano i personaggi della mitologia e gli antichi filosofi greci. Il pavimento è realizzato con piastrelle in cotto. L’uso di argille rosse e variegate consentono un gioco alternato a scacchiera. Il pavimento della sala da pranzo è in listoni di legno di castagno; sulla destra c’è un ambiente composto da un salotto con camino. Il soffitto a vela rende il luogo più bello della dimora nobiliare. La parte al piano terreno passa sul retro della villa è destinato ad ambiente di servizio. Un lungo tunnel segreto percorre longitudinalmente tutto l’edificio. Il soffitto in stile neoclassico è incantevole, conservano la preziosità dell’opera dove primeggiano i colori bianco e giallo. La balaustra è realizzata in pietra molera, tutto l’ambiente è illuminato da grandi finestroni. Sulla destra compare il lungo corridoio che attraversa tutta la villa distribuendo sui due lati gli alloggi e al piano “nobile” i vani sono a doppia altezza ed i soffitti realizzati a “volta” con mattoni di cotto intonacato sono decorati con motivi allegorici in alcune stanze, gli ambienti sono ampi e luminosi. Infondo al corridoio centrale un ampia finestra si affaccia sul parco. Nella zona della biblioteca si conservano i libri e i documenti di casa e dove si impartiva l’educazione scolastica. Nella zona centrale del corridoio una scala ci porta al piano secondo: i soffitti sono meno alti, solo alcuni decorati. Era la parte della casa riservata alla servitù. Dalle finestre si gode uno splendido panorama dei tetti del centro storico di Lomagna.

L'Ottocento

Il costante stato di miseria in cui, la popolazione versava, fece si che nessun lomagnese si occupasse di certi problemi e anche che la popolazione, non si muovesse in direzione della conservazione dei resti storici che si possedevano. Un tipico esempio è la Villa Busca che negli anni ’50 venne spogliata di tutte quelle testimonianze che appartenevano al patrimonio culturale.

Una realtà immutata

Lomagna, fino alla grande guerra non è stata mai troppo condizionata dagli eventi che ebbero luogo nel mondo. I caratteri della struttura urbana lomagnese erano composti da un nucleo principale costituito dalla chiesa e dall’anello di case coloniche che la circondavano. Dal nucleo si diramavano a ventaglio alcune stradicciole che conducevano ai paesi vicini e alle cascine. Queste ultime, erano disseminate nella campagna circostante il centro ed ospitavano circa un terzo dell’intera popolazione. Questa struttura che pareva immutabile iniziò ad evolversi solo quando venne edificata la villa che in seguito doveva diventare la residenza dei marchesi Busca. La villa che venne eretta tra il 1804 e il 1806 determinò un significativo mutamento dello schema urbano. Nel 1867-68, venne realizzata la palazzina dove hanno sede la biblioteca e la sala civica in Via Roma.

La chiesa parrocchiale

Nel 1556 iniziarono i lavori per la ricostruzione della chiesa parrocchiale. La necessità del compimento di quest’opera, era determinata dalla inadeguatezza della vecchia chiesa, rispetto alle esigenze della popolazione. In essa, non esisteva il battistero e i neonati venivano battezzati ad Osnago, anche se era stata costruita una cappella battesimale di forma quadrata, senza pavimento e cinta esterna. Per questo motivo fu ipotizzato che la chiesa di Lomagna facesse parte di quella di Osnago, dato che da alcuni registri battesimali conservati nell’archivio parrocchiale di Osnago, risultano battezzati in questa parrocchia diversi abitanti di Lomagna. Nella cappella maggiore era collocata una campanella con una fune che serviva per il richiamo dei fedeli. Davanti alla chiesa vi era un prato che serviva per seppellirvi i morti: in esso si erigevano solo tre croci. Dalla visita pastorale del cardinal Federico Borromeo nel 1611, risulta che i lavori di costruzione della chiesa erano già a buon punto. Era già stato costruito il fonte battesimale avente un pavimento in mattoni e il soffitto in cemento, al centro di esso si trovava una vasca rotonda di gesso in cui veniva custodita l’acqua santa protetta da un coperchio in rame. La cappella maggiore era situata all’ estremità della navata ed aveva una forma ottagonale. Era delimitata da colonnine di marmo munite di battenti e il pavimento era coperto di mattonelle decorate. Dal piano della cappella si saliva, per mezzo di due gradini di legno, all’altare. Il tabernacolo era costruito di legno lavorato molto finemente ed ornato in oro. La chiesa, veniva dedicata con una semplice benedizione ai santi Pietro e Paolo, era costituita da una sola navata. Nelle pareti vi erano tre sepolcri: uno per i sacerdoti e gli altri due per i parrocchiani.

Dopo il 1624 risultano finiti i lavori per la costruzione del campanile, situato accanto alla cappella maggiore e fornito di tre campane. La cappella maggiore venne collegata alla sacrestia costruita nel 1613. Il soffitto della sacrestia era a volta, e da una porta si accedeva alla casa parrocchiale.

Il parroco Villa. All’inizio dell’ottocento, arrivò nella nostra parrocchia un nuovo parroco che portò, un impulso di intensa operosità: il parroco Villa, arrivato a Lomagna nel 1813. Dopo 12 anni dal suo insediamento, intraprese la costruzione di un edificio da adibirsi a casa parrocchiale che richiamò l’attenzione del cardinale Caisruch, il quale intimò al Villa di ridurre le dimensioni dell’opera, eretta su un terreno parrocchiale senza autorizzazione. La casa parrocchiale venne completamente distrutta e il parroco dopo aver acquistato sei pertiche di terreno, ne costruì un’altra. Alla sua morte l’edificio venne acquistato dai marchesi Busca ed usata come casa colonica. Questo edificio è molto probabilmente quello di Via Roma 8 (Brinulon ). Quando il parroco Villa comprò l’appezzamento per la costruzione della canonica, la famiglia Tosi regalò alla parrocchia la strascia di terreno che si estendeva sino a raggiungere l’odierna via Roma. Il passaggio che venne realizzato coincide probabilmente con la via Don Carlo Colombo.

Il restauro della chiesa. Il 31 ottobre 1847 il parroco Villa lasciò Lomagna, e venne sostituito da Don Francesco Carini. L’opera più importante è stata la ricostruzione della chiesa che iniziò nel 1855 e finì nel 1865. Nel 1860 si acquistò il confessionale, il pulpito realizzato nel 1856 fu adornato con tre emblemi nel 1865. Il crocefisso fu donato dai Busca; il Cristo con gli angeli fu dono di un lomagnese. Nel 1863 fu costruito il coro, poi fu collocato un cancello davanti all’altare maggiore ed una balaustra davanti a quello di S. Antonio. La somma necessaria per il restauro fu donata dai Busca, dai Gargantini, dalla fabbriceria del Duomo di Monza e dall’orfanotrofio di Milano.


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